Aggiungi qui il testo dell’intestazione

Aggiungi qui il testo dell’intestazione

 

DESCRIPTION File A
00:00:00

Critica alla priorità dell’aspetto politico, staccato dalla questione estetica, tipica del teatro dei primi Settanta

A domanda dell’intervistatrice – il teatro degli anni Settanta dal punto di vista politico, posizioni e peculiarità della Compagnia del Collettivo rispetto ad altre compagnie e posizioni del periodo, da Massimo Castri o Dario Fo – l’intervistato obietta sostenendo l’inscindibilità dell’aspetto politico e di quello estetico nel teatro. Invece fra fine anni Sessanta e inizio anni Settanta si insisteva a distinguerli, ad esempio nei frequenti dibattiti post spettacolo si metteva la forma estetica in secondo piano; la cosa già allora lo innervosiva, così si faceva sia cattiva politica che cattivo teatro, si legittimavano brutti spettacoli.
00:06:33

I vari ambienti della politica

LISTEN AUDIO

La politica può declinarsi in diverse forme e ambienti, dai sindacati alle scuole, tra queste anche il teatro.
00:08:20

Ritualità, teatro e società

 

Il teatro è un rito: dalla Grecia periclea a oggi istituisce un legame tra chi lo pratica e la pòlis. Il rito ha delle modalità che possono cambiare ed evolvere nel tempo. Il teatro da un punto di vista antropologico e come luogo della messa in atto rituale – l’intervistato preferisce evitare la parola “rappresentazione” – della contraddizione e del conflitto che la società vive.
00:12:47

Il teatro è politico se e quando mette al centro il conflitto

Si può parlare di teatro politico se si considera il conflitto come contenuto che il teatro deve “esprimere
00:15:04

Le modalità rituali del teatro

Il teatro “deve rimanere attaccato a sé stesso”, rifuggire la propria mercificazione. Il teatro, non avendo alcuna prerogativa strettamente religiosa, è una “messa laica” senza alcuna trascendenza (fatta eccezione per il testo).  Il teatro è condivisione “di qualcosa di inafferrabile” tra attori e pubblico, e le modalità di relazione che gli sono proprie non trovano riscontro in realtà altre, a lui esterne. Come il mito e il conflitto, il teatro è indefinibile. L’intervistato ribadisce l’intima connessione tra estetica e politica nel teatro.
00:19:02

Teatro e non teatro

Per distinguere il teatro politico da quello non politico è sufficiente distinguere il teatro dal non-teatro: il teatro è tale quando è politico. Tuttavia nel teatro, che l’intervistato intende come luogo diverso dalla politica e in cui razionale e irrazionale si conciliano, esplodono le categorie di destra e sinistra.
00:20:48

Riflessione a posteriori

Abbati ammette che la complessa lettura fornita fin qui all’intervistatrice è frutto di una riflessione più matura e recente; tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta aveva intuito che ci fosse “un equivoco” ma non lo aveva analizzato così profondamente. Al momento dell’intervista preferisce parlare di teatro tout-court e non di teatro politico come gli chiede l’intervistatrice.
00:22:42

La grande paura: teatro come attività politica?

LISTEN AUDIO

L’intervistatrice riformula la sua domanda e gli chiede degli spettacoli del Collettivo concepiti “come attività politica”; suggerisce ad esempio che ne La grande paura l’aspetto estetico era stato volutamente messo in secondo piano, si intendeva fare teatro “come attività politica”. Abbati all’epoca dello spettacolo, però, non partecipava al Collettivo, vi rientra poco dopo. Col senno di poi giudica quegli spettacoli, espressamente concepiti come attività politica, “un’autoflagellazione”, un errore: gli operai non avevano bisogno di uno spettacolo simile per riflettere sulla loro condizione.
00:27:30

La svolta della Compagnia del Collettivo con il ritorno di Jerkovic e la drammaturgia popolare italiana

Il Collettivo, a differenza di altre cooperative, supera questa erronea concezione di teatro politico nel giro di pochissimi anni. Richiamato il regista croato Bogdan Jerković, il repertorio della compagnia guarda alla drammaturgia popolare italiana contemporanea. Mettono in scena Dario Fo e Eduardo De Filippo: entrambi riflettono sulla cronaca e l’attualità senza mai prescindere da meccanismi comico-teatrali. Una linea mantenuta fino a Il quinto stato, spettacolo ispirato a due romanzi di Ferdinando Camon: una maniera molto precisa di intendere il teatro, politico di per sé.
00:30:10

La trilogia shakespeariana

Nei primi anni Ottanta il Collettivo mette in scena Amleto, Macbeth e Enrico IV; Abbati ritiene che questa trilogia, che procura fama mondiale al Collettivo, esemplifichi la maniera della Compagnia di intendere ‘il politico’: mette al centro il rapporto fra teatro e pòlis, fra individuo e mondo. Il corpo drammaturgico shakespeariano è “il teatro del mondo” e il Collettivo non considera mai Shakespeare come letteratura: alla trascendenza del testo si affianca l’attore, un uomo contemporaneo, che serve Shakespeare senza usarlo come pretesto.
00:36:22

Le videoregistrazioni degli spettacoli

Esistono dei VHS sugli spettacoli del Collettivo, ma sono poco leggibili (girati per lo più con camera fissa) e Abbati rifiuta di condividerli: significherebbe tradire il teatro.
00:37:43

Dal teatro universitario al Collettivo: fasi di crescita

LISTEN AUDIO

Abbati concorda con l’intervistatrice riguardo allo scarto tra gli spettacoli del periodo 1968-71 e quelli degli anni successivi: si passa dal teatro universitario, alla fase dell’’“autogestione” (che non l’ha visto partecipe), poi al ritorno di Jerković chiamato a regista della cooperativa. L’intervistato reputa questa evoluzione della Compagnia del Collettivo un percorso necessario, come quello dall’infanzia, all’adolescenza (intraprendi strade anche sbagliate poi ti ravvedi, alias mettere la forma estetica in secondo piano), all’età adulta.
00:40:09

Nuova Scena e il   teatro di Fo: quando e come è più efficacemente ‘politico’?

discussione con l’intervistatrice

Altri gruppi e compagnie mancano questo passaggio: Abbati si riferisce a Vittorio Franceschi e Nuova Scena, che hanno fatto cose pessime, ancillari alla politica. Il merito di Fo, invece, è aver fatto teatro politico con Mistero Buffo benché lo spettacolo non parli di operai. A rendere politico il teatro di Fo è il rapporto tra le modalità di produzione del racconto e la partecipazione del pubblico al rito. Le grandi capacità di attore, mimo e narratore di Fo, che trasforma “in grande teatro tutta la pagina scritta” e viene considerato dall’intervistato il più grande attore europeo del secondo dopoguerra. L’intervistatrice obietta ricordando le pagine più direttamente politiche di Fo, come L’operaio conosce 100 parole il padrone 1000. Discussione.
00:44:12

Il ’68 e l’assioma del CUT-Compagnia Collettivo

Il ’68 mette in discussione il concetto di autorità. Da allora la compagnia segue un assioma: sentiamo la necessità di esprimerci col teatro perché la realtà non è congeniale nell’inverare le nostre esigenze e allora cambiamo la realtà: abbiamo creato le cooperative, inventato il decentramento
00:46:16 Cambiare la realtà: cooperative e decentramento L’urgenza di cambiare le cose si specchia nella creazione del circuito ARCI di Fo: vi era necessità di stravolgere tanto l’estetica teatrale quanto l’organizzazione. Anche il Collettivo, che partecipa al circuito alternativo, diviene cooperativa sulla spinta di quest’urgenza di cambiamento organizzativo. L’importanza e il significato del decentramento; la definizione giuridico-amministrativa di cooperativa è limitante, significa anche – e soprattutto – mettersi in rapporto con il mondo circostante.
00:48:12

Il Teatro Due

La fondazione del Teatro Due rappresenta un confronto dialettico con il teatro istituzionale, non ne rappresenta un’alternativa.

 

DESCRIPTION File B
00:00:00

Dalla cooperativa ai secondi teatri

Abbati sintetizza e ribadisce: dal ’68 in poi il sentirsi inadeguati alla realtà spinge il Collettivo a esprimersi attraverso il teatro con l’intenzione di cambiare la realtà stessa. Quando la cooperativa come configurazione aziendale e organizzativa non li persuade più, adottano la forma dei cosiddetti “secondi teatri”, dando vita al Teatro Due.
00:02:19

Da ex Enal a Teatro Due

Il Teatro Due nasce tra il 1976 e 1978 circa. L’edificio, che aveva molti spazi con svariate destinazioni d’uso (sala di recitazione, palestra, sezione ARCI,…), viene progressivamente occupato dalla compagnia che vi investe tempo e denaro fino a che la loro presenza non diventa “necessaria alla città”.  In tre/quattro anni arriva il riconoscimento giuridico e si stipula una convenzione con il Comune di Parma (il rinnovo è previsto ogni nove anni). Il riconoscimento di teatro stabile privato arriverà successivamente.  Intervistatrice e intervistato si confrontano sulla possibilità di trovare i documenti che attestano questo primo riconoscimento giuridico.
00:06:42

Da attori universitari a attori di una cooperativa

Gli attori del Collettivo provengono dal teatro universitario, che nel ’68 incontra le istanze politiche del movimento studentesco. Anche questo è rivoluzionario: fino alla fine degli anni Sessanta gli attori o provenivano dall’accademia o dalle filodrammatiche. Inoltre il teatro si faceva nelle grandi città (Roma, Milano, Torino, Genova). Il Collettivo capovolge questa tendenza, anche seguendo l’esempio di Fo.
00:09:05

La nuova formula del Teatro Due, esito di politiche innovative

Quando la convenzione stipulata con il Comune non era più sostenibile il Teatro Due ha chiesto di essere riconosciuto come teatro stabile privato. Un ruolo cruciale nell’ottenimento di una legge ad hoc per il teatro – che per molto tempo ha dovuto avvalersi di finanziamenti ottenuti con decreti –   lo ha avuto Walter Le Moli. La realtà cambia perciò occorrono configurazioni diverse nei luoghi di produzione del teatro; il cambiare delle configurazioni influisce necessariamente anche sulle estetiche.
00:11:27

 

La trilogia del decentramento:

Breve interruzione. Abbati conviene con l’intervistatrice: Il re è nudo, Il figlio di Pulcinella e La colpa è sempre del diavolo rappresentano la trilogia-simbolo del decentramento e della riscoperta del teatro d’autore e della regia non collettiva (sono tutti diretti da Jerković). Gli spettacoli avevano tutti e tre la stessa scenografia: un piano inclinato e una centina di teli.
00:14:26

La scenografia mobile

La struttura scenografica concepita in modo da essere versatile e trasportabile in qualsiasi luogo: era “un teatro autonomo” “compiuto, solo mobile”. Questa soluzione risponde alla volontà di “teatralizzare” luoghi non teatrali.
00:16:23

Il ritorno al repertorio d’autore

Ritornare al teatro d’autore – all’intervistato non piace la definizione di “popolare” ma la accetta – significa attingere al patrimonio della tradizione teatrale italiana. Le opere di Fo e De Filippo – all’epoca ancora vivi – hanno “consistenza visibile”; sia ne La colpa è sempre del diavolo si ne Il figlio di Pulcinella è evidente, seppur in modi diversi, l’allusione all’attualità. Abbati descrive una scena della commedia di Fo.
00:18:42

Il teatro popolare di Fo e De Filippo

È lecito inserire Il re è nudo nella trilogia, ma Schwarz non è italiano. Gli altri due spettacoli rendono comprensibile il meccanismo comico-teatrale – e una digressione sul comico allungherebbe la durata dell’intervista – e costituiscono un “grande teatro popolare”. Non prediligono la cronaca a discapito del meccanismo teatrale: l’opera omnia di Fo e De Filippo è teatro popolare.
00:20:11

Il re è nudo

Il re è nudo di Schwarz è una favola conosciuta, è già metafora. Il Collettivo interviene molto sul testo; l’idea iniziale era mettere in scena la Turandot di Brecht per cui avevano chiesto i diritti a Strehler – che non li ha mai concessi. L’opera di Schwarz permette di tematizzare il rapporto potere-sapere: dalla metafora alla realtà.
00:22:52

L’importanza dell’ironia

 Ruolo cruciale dell’ironia: il teatro politico che prediligeva i contenuti in luogo della forma mancava di ironia. Sia i membri del Collettivo sia Jerković hanno “occhio dissacratore nei confronti del mondo”: Il re è nudo, Il figlio di Pulcinella e La colpa è sempre del diavolo sono congeniali a questo spirito.
00:23:56

Il ritorno di Jerković

Abbati accenna al periodo di rifiuto e negazione della regia. Jerković è necessario al Collettivo: fornisce agli attori gli strumenti formali per evitare la divisione tra teatralità e contenuto politico. Il regista croato era di sinistra e non imponeva la sua autorialità, anzi si metteva “a servizio dialettico” dei progetti proposti dalla compagnia. Ricordo della discussione tra attori e Jerković durante la preparazione di Gargantua e Pantagruel.
00:27:09

Il cordone ombelicale con Jerković e la parentesi del ’68.

Il ’68 “taglia il cordone ombelicale” tra CUT e Jerković: il suo legame con Parma e gli attori però non si interrompe, non si può parlare di una vera e propria rottura. Il regista soleva lavorare dalla Jugoslavia; partecipava ai FITU con i gruppi zagabresi e invitava il CUT/Collettivo al Festival jugoslavo.
00:28:58

La valenza di Brecht per il CUT/Collettivo

L’intervistatrice collega la concezione teatrale del CUT/Collettivo alla lezione di Brecht: Abbati è d’accordo, ma crede che la compagnia la abbracci dapprima in modo inconsapevole e poi, progressivamente, la approfondisca. Lo sviluppo del percorso brechtiano avviene senza la totale conoscenza di Brecht: i suoi spettacoli erano conosciuti soprattutto grazie allo scambio tra TU, Einaudi pubblica Il breviario di estetica teatrale solo alla fine degli anni Sessanta, mentre il suo intero corpo teorico viene pubblicato dopo; Strehler aveva messo in scena L’opera da tre soldi e altri testi brechtiani.
00:33:15

Lo straniamento

Lo straniamento in Italia è possibile solo se formalizzato: il tentativo fallito di Strehler con Buazzelli. Lo straniamento del CUT/Compagnia Collettivo mira a non snaturare le origini del teatro italiano (soprattutto della Commedia dell’Arte) e non ha nulla a che vedere con quello brechtiano, che viene visto come uno schema. Impedire l’identificazione del pubblico nei personaggi, “mostrando il gioco” è la forma di straniamento del CUT/Compagnia Collettivo.
00:35:23

Romanzo criminale e Il quinto stato

 

Romanzo criminale e Il quinto stato sono spettacoli di decentramento che, a differenza della trilogia che li precede, prendono ispirazione da romanzi. Il primo scelto sia perché un successo letterario di Pilhes sia perché tratta il tema delle multinazionali: la riduzione teatrale la curano l’intervistato e Gigi Dall’Aglio. Il quinto stato, invece, tratto dall’omonimo romanzo e da La vita eterna di Camon, è ridotto da Giancarlo Andreoli, ex membro CUT; è uno spettacolo che tocca la tradizione popolare, orale e aneddotica.
00:38:49

Urgenza di cambiamento

Il passaggio da testi drammatici concepiti per il teatro all’adattamento di romanzi è sintomatico di un cambiamento. In Romanzo criminale il contenuto politico era violento, non poteva essere restituito sotto forma di “metafora”, mentre Il quinto stato metteva in scena il mondo contadino e le sue contraddizioni attraverso tante “piccole favole”.
00:41:16

Romanzo criminale

Lo spettacolo ha come tema le multinazionali e critica la loro libertà sovranazionale (intesa come capacità di evadere le giurisdizioni nazionali). Nella trasposizione teatrale la mancanza di un meccanismo ironico è un limite. Abbati non ha né copione né fotografie dello spettacolo.
00:43:06

Abbati anti-collezionista

L’intervistato si definisce vanitoso ma non abituato a conservare foto e documenti. Una tv francese e una casa di produzione cinematografica tedesca hanno realizzato due film raccogliendo i grandi eventi teatrali degli anni ’70 e ’80: la Compagnia del Collettivo appare in entrambi. Nella pellicola tedesca è stato inserito l’intero repertorio in lingua tedesca della compagnia, mentre in quella francese compare Uccellacci Uccellini.
00:44:52

Romanzo criminale

Ricalca molto il romanzo da cui è tratto, fatta eccezione per una scena di fantasia, scritta da Abbati; la scena venne molto apprezzata da Jerković che lodò l’intervistato paragonandolo a Hemingway.
00:46:21

Il quinto stato

Entrambi i romanzi di Camon raccontano il mondo contadino, anche contemporaneo, dell’area veneta: presente e passato si confondono e le vessazioni autoritarie tornano, sotto diverse vesti, in ogni epoca. In questa trasposizione teatrale la dimensione dell’ironia ritorna.

 

DESCRIPTION File C
00:00:00

I primi spettacoli della cooperativa

Le piaghe della Santa Repubblica è una farsa a più versioni. Per il Collettivo – appena formatosi – è un’esperienza di “scrittura totale” a differenza de Il re è nudo, La colpa è sempre del diavolo e Il figlio di pulcinella. In tutti questi spettacoli, però, metafora e contemporaneità sono in perfetto equilibrio. Le farse: spettacoli popolari e agili che si possono fare ovunque, in stile El Teatro Campesino, che sarebbe arrivato in Italia dopo.
00:04:22

Le farse

Ricordo di alcune farse della cooperativa e dei loro temi attuali. In una stessa sera venivano messe in scena tutte (prima tre e poi altre tre, che diventeranno, nel tempo, due); gli attori indossano i costumi uno sopra l’altro. La crucialità del distacco ironico (e temporale nel caso de Il re è nudo).
00:08:28 Breve interruzione.
00:09:31

La nascita della Cooperativa

La nascita della cooperativa alla fine del 1971; Abbati entra alla fine del 1972.  Spettacoli quali Vietnam come vittoria appartengono al “momento di inerzia” precedente alla nascita della Compagnia del Collettivo e prima del ritorno di Jerković.
00:10:43

Gli spettacoli musicali

Gli spettacoli musicali collegano la cooperativa alla classe operaia e al circuito alternativo; con questi partecipano anche ad alcune campagne elettorali. La spettacolarizzazione della politica attuale avviene in televisione, mentre all’epoca accadeva in piazza. La piazza come luogo di festa politica ma anche popolare. Recupero di uno scritto di Pasolini per sostenere la campagna favorevole all’introduzione del divorzio. Tutto va bene o no viene pensato per la campagna elettorale amministrativa di Torino del 1976: mescola Candido di Voltaire e Pasolini. L’usanza del canto negli spettacoli del Collettivo come cifra estetica della fase di autogestione.
00:13:50

Tutto va bene o no

Lo spettacolo aveva la regia di Flavio Ambrosini – trasferitosi a Torino, lavorava con Missiroli e non più con il Collettivo – ed era stato commissionato dalla Federazione del PCI di Torino. Il sindaco Diego Novelli regala ai membri della compagnia delle serigrafie cubane a tema Vietnam. Gli attori coinvolti sono quattro (Marcello Vazzoler, Abbati, Ivan Pataccini e Giorgio Gennari) e si esibiscono con 45 spettacoli in 30 giorni: si spostano con un camion e un pullman e si occupano anche dell’allestimento di palco e tribuna (da 600 posti); la federazione li ricompensa a giornata.
00:16:00

Il Collettivo e le campagne elettorali

Le campagne elettorali: occasioni non squisitamente teatrali e prevalentemente politiche in cui i caratteri della festa popolare rimangono intatti. Sono momenti in cui politica e teatro si sposano; la teatralità veniva preservata con il genere popolare e l’ironia.
00:17:06

Cantanò

Ricordo della campagna elettorale del PCI fatta in Sud Italia nel 1972: partecipano Gennari, Tania Rocchetta e Fulvio Redighieri. Il Collettivo partecipa anche a campagne in cui il PCI non è il solo partito coinvolto: per la campagna sul divorzio scrivono il Cantanò ispirandosi a un discorso di Berlinguer. In Cantanò partecipano Fulvio Redighieri e il violinista Ughino Maggiari: altri attori e cantanti sono estranei alla cooperativa. Lo spettacolo viene scritto e montato a Parma e poi portato al Sud con l’appoggio del PCI.
00:20:27

Il sostegno al PCI e altri spettacoli musicali

Gli spettacoli musicali di campagna elettorale del PCI vengono finanziati dal partito. Su Cara moglie e Addio, addio amore l’intervistato ha perplessità perché non vi ha preso parte (suggerisce di rivolgersi a Rocchetta e Bocelli). Ricorda, però, che furono tenuti in repertorio per molto: lo spettacolo musicale era in voga. Era periodo di grandi cantanti popolari: Maria Carta, Giovanna Marini, Adriana Martino, Daisy Lumini e Tania Rocchetta era tra queste.
00:22:12

Altri spettacoli musicali

Per la strada, E noi volgiamo l’uguaglianza, Su dunque o popolo sono altri spettacoli musicali non finanziati dal PCI, a differenza di Cantanò, Tutto va bene o no e un terzo che Abbati non ricorda ma che venne realizzato per la campagna elettorale in Irpinia. Quelli non pensati per le campagne elettorali venivano messi scena e venduti altrove, spesso alle feste dell’Unità.
00:24:08

Oratorio profano dei tre soldati erranti

Oratorio profano dei tre soldati erranti ispirato a una poesia di Brecht, con la regia di Gigi Dall’Aglio. Partecipano Redighieri e il pianista Mario Fulgoni: è una poesia tradotta in musica che riflette sul fatalismo. Di nuovo, il teatro politico è controbilanciato da un genere popolare riconoscibile.
00:26:06

L’influenza delle canzoni politiche e popolari

L’influenza esercitata dalla diffusione delle canzoni politiche e dal recupero della canzone popolare della fine degli anni ’60. La grande paura “parte dalla musica”. Il Collettivo ha contatti con Pino Masi, Paolo Pietrangeli, Gianni Bosio e Giovanna Marini.
00:27:35

La “musica autonoma” in Brecht

Nel teatro di Brecht si trova musica “autonoma” cantata dagli attori e non dai personaggi: l’attore interrompe la recitazione e esprime un concetto in musica, rendendo la musica oggettiva.
00:28:26

La musica in Fo e natura della canzone popolare

Anche nel teatro di Fo c’è molta musica: è un’esigenza espressiva e comunicativa. Le canzoni esplicitano la morale in modo ironico e non didascalico. Intervistatrice e intervistato concordano sulla canzone come forma espressiva popolare che negli anni Settanta si è trasferita dal contesto contadino al contesto urbano e alla lotta sociale del periodo
00:30:38

Il’68, i processi di appropriazione culturale: sotto il segno dell’Agit-prop o della festa?

Abbati pensa ad alta voce, gli viene in mente un libro di Asja Lācis sul teatro agit-prop in URSS (Professione rivoluzionaria, ndr.), si chiede se la definizione agit-prop sia corretta per descrivere gli intenti delle istanze musicali e teatrali di quegli anni, gli pare però che il processo di appropriazione culturale praticato in quegli anni, con le sue manifestazioni canore, musicali, ecc., si debba capire alla luce  del concetto di festa.
00:33:24

Sessantotto: rivoluzione sovrastrutturale

Il ’68 come “gioco alla rivoluzione” e “adolescenza che si libera e taglia il cordone ombelicale di massa” (mentre Pasolini reputa che abbia preparato la società al consumismo). Per Abbati il ’68 è una rivoluzione sovrastrutturale poiché modifica la cultura (ha prospettiva marxiana). Discussione con l’interyistatrice, confronto fra prospettiva storica e prospettiva teatrale
00:37:13

Teatro, festa e rito

Il teatro politico che intende propagandare un contenuto non ha ragion d’essere. A teatro la comunità si riconosce in qualcosa: il teatro che ambisce a convincere non funziona; è nella festa che ci si riconosce. Ricreare condizioni di festa in cui c’è divertimento e riflessione – come nel Medioevo – permette di coinvolgere un paese, una piazza: per questo il decentramento ha funzionato perché si avvertiva l’appartenenza. Il teatro torna ad essere rito.
Listen Audio Vai alla Scheda Biografica
Interview Duration: 02:26:42
Registration Duration: File A 00:48:42 File B 00:48:41 File C 00:49:19
Format: mp3
Type: Audio
Language: Italiano
Subjects:
Original Document Placement:
  • ICBSA, Via Caetani 32, 00186, Roma
  • Museo Biblioteca dell’Attore, Via del Seminario 10, 16121, Genova
  • Centro Studi Movimenti Parma – CSMP, Via Saragat 33/a, 43123, Parma
  • Usage and Rights:

    Tutti i materiali audio presenti nel portale di Patrimonio orale sono proprietà esclusiva di Ormete e dell’intervistato.

    Any use of the material different from listening (except short quotation) is not possible without the prior written consent of ECAD/ORMETE.

    Per ogni uso del materiale diverso dall’ascolto (al di là di citazione breve) deve essere richiesta l’autorizzazione a ECAD/ORMETE.

    Interviews may only be reproduced with permission by ORMETE

     

    Citation:

    Intervista a Abbati Roberto, di Becchetti Margherita, Parma, Fondazione Teatro Due, il 22/12/1999, Progetto “La memoria dei teatri universitari in Italia (PRIN 2015. Per-formare il sociale)”, Collezione Ormete (ORMT-07PR-Af), consultata in URL:<https://www.testpo.ormete.net/interview/intervista-a-abbati-roberto/>, (data di accesso). 

    Relation:
    Bibliography: Becchetti M., Il teatro del conflitto. La Compagnia del Collettivo nella stagione dei movimenti. 1968-1976, Odradek, Roma 2003. Allegri L., Tre Shakespeare della Compagnia del Collettivo, Liberoscambio, Firenze 1983.